Nasce in Inghilterra. No, non è vero. Il calcio, inteso come attività ludico-sportiva in cui c’è di mezzo un pallone (di stracci, di budelli, di sabbia, di caucciù, di peli, di muschio etc.) grazie a studi e ricerche si sa che si è diffuso abbastanza ovunque in maniera spontanea.
Ci sono testimonianze in Cina (b), nell’antica Grecia (a), tra le civiltà più pre-colombiane (c) e fino al Rinascimento fiorentino. Più o meno tutti insomma si sono divertiti a tirare calci ad un pallone, una forza ancestrale e innata in noi che se vediamo qualcosa di vagamente sferico (e che non sia un masso) ci spinge a infilarla in un 7 immaginario o addosso a qualcuno, o almeno provarci.
Nel 1848 l’Inghilterra codifica delle regole per il gioco che oggi giochiamo. Le regole più o meno erano queste (ma gli arbitri prima del fischietto usavano un bel fazzoletto). Era stata tolta di mezzo la violenza, che caratterizzava fortemente il football e il suo cugino più prossimo: il rugby (nato proprio a Rugby, in Warwickshire). Nel’48 appunto viene stilato un primo regolamento, noto come Regole di Cambridge, sul modello dello sport più praticato e conosciuto all’epoca, il cricket. Squadre a 11 giocatori, un arbitro imparziale, un tempo di gioco predefinito e un rudimentale fuorigioco, diverso da come è oggi ma sostanzialmente con la stessa logica.
Più tardi venne codificata anche la dimensione del pallone. Nel 1857 viene fondata la prima società, lo Sheffield Football Club.
Il resto è storia, fino alla finale di Euro2020 tra Inghilterra e Italia (per adesso).
Per alcuni è un oppio per i popoli (come la religione per Marx), sabbia negli occhi o peggio abbrutimento intellettivo. Ma per moltissimi è desiderio fisico di condividere con altri, tanto che si giochi quanto che si tifi, un destino incerto, fatto di episodi, energie e alchimie tra compagni, amici, avversari, per un risultato che alla fine si traduca in endorfine e dopamine positive, vincere. È diventato nel’900 un’allegoria delle società, una scala sociale per il riscatto di alcuni, simbolo del risveglio dei popoli, dell’affermazione di diritti e dell’avvento di giustizia sociale.
Esiste tutto il cotè negativo che solitamente la popolarità offre: gestire soldi e gli interessi collegati, diventare uno strumento di potere e controllo per dittature, politiche e di mercato. La contraddizione è sempre uno scettro difficile da tenere in mano.
Tuttavia lo stimolo che ha offerto all’invenzione, all’occhio di artisti, scrittori e altri inventori di segni, dicesi produzione culturale, è ciò che vogliamo suggerire e consigliare in questo articolo. E dato che finisce questo Europeo e le vacanze sono alle porte, ecco alcune letture da portarsi a spasso questa estate:
Osvaldo Soriano
Fútbol. Storie di calcio
La raccolta di scritti del più grande giornalista e scrittore, tifoso e sportivo, sudamericano.
Gianni Brera
Il più bel gioco del mondo, scritti di calcio (1949-1982)
La raccolta fondamentale della penna più irriverente, inventiva e sagace del giornalismo italiano
Nick Hornby
Febbre a 90°
La storia di un’ossessione, lo stadio, il tifo, l’Inghilterra attraverso gli occhi della rivelazione editoriale anni’90.
Eduardo Galeano
Splendori e miserie del gioco del calcio
Anche il grande scrittore uruguaiano ha avuto un primo grande amore: il calcio. Qui in ogni sua dimensione, odi et amo.
David Winner
Brilliant orange, il genio nevrotico del calcio olandese
“Usare il calcio per comprendere una nazione”. Questa l’Olanda di Crujiff e il suo calcio totale.
Marco Petroni
St.Pauli siamo noi. Pirati, punk e autonomi allo stadio e nelle strade di Amburgo.
Un quartiere portuale e la sua squadra di calcio, contro le logiche moderne di capitale e finanza. Un manuale per la resistenza alla logiche di mercato.
Simon Kuper
Calcio e potere
Storie politiche e sociali collegate al pallone, ascese e cadute di regnanti, scontri religiosi, movimenti indipendentisti, classi sociali.
Ce lo insegnano film come Fuga per la Vittoria, dove alcuni prigionieri politici trovano la libertà grazie ad una partita di pallone