Secondo l’enciclopedia Treccani l’espressione “cose turche” si riferisce a tutte quelle azioni o situazioni che scandalizzano la morale corrente [1]. Fare “cose turche” diventa quindi, già dagli anni ’70, una variante elegante per descrivere atteggiamenti malvisti dalla società, come “fumare come un turco” o “bestemmiare come un turco”, portando all’eccesso ogni comportamento. Ma da dove deriva questo modo di dire?
Le origini di queste terminologie hanno radici storiche e religiose che arrivano sino ai turchi dell’Impero Ottomano. “Fumare come un turco” si riferisce alla forte diffusione del vizio del fumo, che vide il suo apice dopo la morte del sultano che nel 1600 lo proibì, punendo i fumatori con pene come il taglio del naso (niente di troppo invasivo insomma). Si narra che il giorno della scomparsa del sultano, per vendetta contro il regime stringente, la popolazione si diede alla pazza gioia (facendo cose, o meglio cose turche). [2] “Bestemmiare come un turco” invece trae le sue origini dalla fatto che i turchi, seguendo un’altra religione, fossero considerati nemici del Cristianesimo e quindi etichettati di conseguenza come bestemmiatori seriali. Più in generale, l’espressione italiana “fare cose turche” deriva dalla convinzione cristiana che l’Harem fosse luogo del peccato dalla mattina alla sera. Insomma, non c’era scampo per nessuno. [3]
Ma è doveroso fare un passo indietro per capire più approfonditamente come la storia della Turchia e delle popolazioni che si sono succedute nel corso degli anni siano state in grado di influenzare la cultura europea. Già l’Impero Bizantino era un luogo di incontro tra cultura orientale e occidentale, motivo per il quale veniva chiamato proprio Impero Romano d’Oriente. Dopo una vita ridente, iniziò a perdere territori e ad indebolirsi politicamente, fattori che fecero sfaldare l’Impero fino alla caduta definitiva per mano delle truppe di Maometto nel 1453, anno dell’assedio di Costantinopoli. Si affacciò così una nuova popolazione, quella dei turcomanni, diventata Impero Ottomano già nel 1031. [4]
Una civiltà, quella ottomana, che è stata in grado di conservare un carattere multietnico all’interno dei suoi confini, senza perdere mai quell’eterogeneità che le ha permesso di diventare fonte di ispirazione culturale per molti altri Paesi. Non ci fu nessun tentativo da parte dei sultani di intervenire sulle tradizioni e sulle usanze delle zone conquistate, ma vennero rispettate le culture locali. La libertà religiosa fu garantita grazie al sistema dei millet e questo fece sì che le zone di conquista diventassero territori in cui rifugiarsi dalle imposizioni della non così permissiva Europa cristiana. Questo aspetto ha contribuito alle numerose sfumature culturali e alle tradizioni che caratterizzano la Turchia così come la conosciamo oggi, senza ridurla ad una cosa turca.
Si può riconoscere una forte influenza persiana su tanti aspetti, dalla cultura alla lingua, dalle abitudini ai costumi della Turchia. Un esempio concreto è rappresentato dall’architettura, soprattutto alcune moschee, che mostrano tratti tipicamente iraniani, sia per quanto riguarda le costruzioni dell’Impero Ottomano sia per il precedente Impero Bizantino. [5] L’Europa non è rimasta a guardare, bensì ha collezionato tante sfumature di questa civiltà. Un esempio di ciò è rappresentato dalla tessitura di tappeti, spesso passati inosservato ma altrettanto frequentemente presenti nelle nostre case. Dai kilim con motivi geometrici ai tappeti Hereke, ricoprono da sempre un valore sia decorativo che religioso, e per questo motivo spesso rivestono i pavimenti delle moschee o addirittura le pareti delle abitazioni. Anche la danza mostra delle caratteristiche che tutt’oggi ritroviamo nella cultura occidentale e in Turchia rappresentava uno dei passatempi più
popolari nell’Harem (il luogo in cui accadevano le ormai note cose turche). Ne è un esempio la danza del ventre, ormai esportata anche in Europa e famosa in tutto il mondo. Ancora oggi questa danza è protagonista degli spettacoli tradizionali e intrattiene il pubblico nelle taverne di Istanbul.
[6] Le contaminazioni turche arrivano anche all’arte rinascimentale, influenzata fortemente dall’Impero Ottomano. Basti pensare ad alcune delle opere del Bellini, artista italiano che ritraè Maometto II. Anche l’arte intesa come letteratura prende spunto da racconti ambientati nell’antica Persia, come il Decameron che si ispira alla raccolta di racconti Le mille e una notte composta da diversi autori.
Trattando invece di stili di vita, è interessante approfondire il keyf [7], che viene tradotto in “il tempo di vivere”. Keyf significa prendersi il tempo di svolgere un’attività con calma; avere la consapevolezza che spesso è necessario fermarsi e rallentare, godersi i piccoli momenti e sfuggire all’imperativo del “sempre di corsa”. Il keyf è una vera e propria filosofia di vita che ha iniziato a prendere piede anche in alcune regioni del sud Italia e nel sud Europa. Un’arte di vita che ha
l’obiettivo di alleggerire il quotidiano e di spronare a trovare una soluzione davanti ai problemi invece che arrendersi davanti agli ostacoli.
La Turchia diventa quindi un ottimo esempio di come la fusione tra culture diverse possa portare a una crescita di tutte le popolazioni coinvolte, con alla base uno scambio reciproco di tradizioni, usanze e abitudini. Forse l’espressione cose turche così come la intendiamo risulta molto più povera e scarna rispetto a quante cose turche abbiamo iniziato a fare influenzati dalla tanto chiacchierata penisola anatolica.
Consiglio Lettura
COSE TURCHE di Federico Maggioni e Luca Scarlini, Jacabook edizioni.