A intervallare i concerti ci sono brevi lezioni di storia del jazz, tenute dallo studioso Francesco Martinelli, che da anni è impegnato nella divulgazione della storia del jazz in Italia come insegnante, giornalista, scrittore e conferenziere. In una di queste brevi lezioni ci ha “raccontato” il quadro di Jean-Michel Basquiat noto come King Zulu, esposto alla mostra Il Secolo del Jazz presso il MART di Rovereto.
Nel 1986 dipinge King Zulu, oggi conservato al MACBA di Barcellona. L’opera imponente rappresenta un ensemble jazz su uno sfondo blu e, a quanto dichiara Martinelli, nasconde indizi e riferimenti sulla storia del jazz, sulla cultura ed iconografia afroamericane e sulle origini di Basquiat stesso.
Jean-Michel Basquiat, King of the Zulus, 1949
Nel dipinto appare centrale una maschera in bianco e nero, sotto alla quale è riportato il titolo del quadro. Poco più in basso, sulla sinistra, si vede una lettera G in stile quasi gotico: è un riferimento alla Gennett Record, etichetta discografica di numerosi dischi jazz e blues degli anni Venti. In particolare ne ha pubblicato uno di cui è sopravvissuta una sola copia: Zulus Ball di King Oliver.
Potremmo immediatamente pensare che Basquiat volesse riferirsi a questo, ma sotto alla G compare un numero di serie che non corrisponde a quello del disco: tipico dell’artista è, infatti, inserire falsi indizi affinché gli osservatori più attenti studino meticolosamente i suoi quadri e ne comprendano il codice.Il numero che appare corrisponde infatti ad un altro disco, Sensation dei Wolverines, in cui suona il primo trombettista bianco, Bix Beiderbecke. Sappiamo bene che un tema comune nel lavoro di Basquiat è il legame tra razzismo e tradizione.
Nascosta sotto al blu dello sfondo si intravede una scritta “Do not stand in front of orchestra” (“Non sostare di fronte all’orchestra”). Alcuni club di Chicago ammettevano anche i bianchi, i quali, per apprendere le tecniche e i segreti dei jazzisti, erano soliti sostare proprio di fronte al palco. La frase che Basquiat riporta sulla tela fa riferimento alle richieste dei gestori dei locali che invitavano questi a spostarsi più indietro, per permettere agli altri – principalmente al pubblico nero – di vedere o di ballare.
Black Beauty, White Heat è un libro del 1882 che Basquiat aveva letto.
A pagina 22, in una fotografia del primo ingaggio di Louis Armstrong fuori da New Orleans, appare un cartello con la stessa frase che Basquiat ha inserito nel quadro. Il testo ha un’importanza chiave per la comprensione dell’opera: da questo, infatti, sono state riprese tutte le figure protagoniste del dipinto.
Il trombonista è ispirato ad una foto di Bill Matthews.
La maschera, invece, si riferisce al 1949, quando Louis Armstrong è stato invitato a fare il re degli Zulù al Carnevale di New Orleans; Basquiat ne modifica gli occhi. Infine, per indicare il nome “King Zulu” riprende la locandina della parata.
Louis Armstrong, King of the Zulus, 1949
Louis Armstrong, King of the Zulus, 1949
Le ultime figure rappresentano Henry “Kid” Rena, coetaneo di Armstrong che aveva suonato nella sua stessa “orchestrina” di riformatorio, e quella totalmente bianca, potrebbe essere Bix Beiderbecke.
Il dipinto può essere diviso in tre parti. Tuttavia, facendolo, notiamo un’oscillazione tra la seconda e la terza: questo è ciò che genera lo swing, ossia la sovrapposizione di un battito binario sopra ad uno ternario. Questo evidenzia una sensibilità ritmica importante da parte dell’artista.
Il professor Martinelli ha confermato che King Zulu non è l’unica opera di Basquiat che dimostra una sua grande conoscenza musicale.
Basquiat nel suo studio, 1987
In una fotografia presente nel suo studio, l’artista è rappresentato davanti agli oggetti con cui lavorava ed alcuni idoli africani. Sullo sfondo appare una tavola non finita su cui sono riportate scritte e numeri: sono nomi di etichette discografiche (Victor e Bluebird), con i numeri di catalogo. Si tratta di una specie di mantra: Basquiat idolatrava questi musicisti, con i quali condivideva certamente il modo di pensare e vedere il mondo.
Nell’opera Jazz del 1986 si nota una lista di titoli e numeri che indicano l’ultima volta in cui Miles Davis ha suonato come membro del Quintetto di Charlie Parker. Il brano Marmaduke è riportato più volte perché è stato necessario provarlo ripetutamente; quando è uscito l’integrale sono stati pubblicati tutti i tentativi, anche quelli non riusciti. In alto a sinistra si legge “Savoy, now’s the time” (“Il tempo è ora”), un’etichetta di un 78 giri di Charlie Parker, ma indica anche un’affermazione con un significato importante negli anni delle lotte dei diritti civili afroamericani.
Stereo Reflections in Ellington è un LP che fece grande scalpore. Per un suo quadro, Basquiat ha ripreso le note di copertina, colorandole tutti di nero e lasciando bianco Juan Tizol: tendeva a colorare solo i musicisti afroamericani.
Jean-Michel Basquiat, Jazz, 1986
Jean-Michel Basquiat, CPRKR, 1982
Nessun critico prima di Francesco Martinelli aveva compreso i codici di Jean-Michel Basquiat come lui avrebbe voluto.
In chiusura come ha fatto Francesco Martinelli vorrei citare la poetessa Bell Hooks che di Basquiat ha detto:
«Come una camera segreta in cui può entrare solo chi ne sa decifrare i codici, la pittura di Basquiat è una sfida per chi pensa di poter “vedere” solo “guardando”».