(Alla ricerca del)
Tempo Perduto
(Alla ricerca del) Tempo perduto
Andrea Pontiroli x Osservatorio Offline
La pandemia ha segnato la vita di tutti noi. Uno dei settori che più ha subito le conseguenze della gestione del virus è sicuramente il settore spettacolo. L’intero comparto spettacolo davanti alle palesi difficoltà si è però diviso, facendo emergere i personalismi del vecchio mondo “impresario” che sono apparsi in tutta loro goffaggine.
La crisi è dichiarata, l’attenzione della politica va intercettata e coadiuvata, ma abbiamo prima bisogno di un rinnovamento interno che possa sostituire una classe dirigente sempre meno adeguata all’evoluzione dei tempi moderni.
“La previsione è molto difficile, soprattutto se si tratta del futuro”, con questa frase attribuita al premio Nobel per la fisica Niels Bohr si può descrivere bene questo lungo periodo fastidioso e pieno di incertezze, capaci di intaccare le nostre abitudini, i nostri interessi, la nostra vita tutta.
Ora possiamo decidere di subire e aspettare oppure possiamo far fronte al disordine delle cose e convertire il tempo perso in un verdetto favorevole allo spettacolo dal vivo che non si può permettere di continuare a navigare a vista.
In due anni di pandemia non è successo nulla dal punto di vista di riforme del settore.
Questo accade in Italia, non nel mondo, abituati forse ad aspettare le piccole concessioni della politica o le soluzioni proposte da vecchi, grandi, monolitici e un po’ imbolsiti addetti ai lavori – più per la loro salvaguardia che per un benessere del settore generale.
Il retaggio culturale italiano formatosi e radicatosi nel Dopoguerra e che fatica ancora a riconoscere come lavoro tutte quelle attività produttive legate alla cultura e all’intrattenimento rischia di far perdere tempo prezioso. Serve un cambio di passo, una nuova consapevolezza che sappia prendere al balzo la palla della ripresa e accompagnare il prevedibile rilancio economico post pandemico per creare condizioni di avanguardia del comparto.
La demonizzazione di parole come “discoteca” e l’utilizzo improprio del termine “movida” hanno contribuito a formare un immaginario comune completamente diverso dalla realtà costituita da persone, aziende ed indotto economico. Lo stesso settore non è esente da colpe se guardiamo alla sua disgregazione interna, alle faide fra promoter, alla bolla dei cachet (compenso degli artisti) e alla mancanza di rappresentanza e lobby.
Lo spettacolo raggruppa una serie interminabile di lavoratori, di mansioni, di strutture e sovrastrutture che spesso sottostanno a una fila altrettanto infinita di leggi e normative che gli stessi operatori culturali faticano a conoscere, figuriamoci i politici a cui si spera arrivino gli accorati appelli di questo periodo. Allora dobbiamo chiederci se il settore possa per la prima volta essere aiutato attraverso una riforma che metta ordine e crei terreno fertile per la sua rinascita, sfruttando per una volta, il momento di emergenza per una coraggiosa liberalizzazione del sistema.
Quali strade percorrere?
Proviamo per un attimo a dimenticare le richieste di aiuto economico e di assistenza e pensare a quello che sarà poi, perché se i locali chiudono e le aziende falliscono spesso l’emergenza ne è stata l’acceleratore non la causa fondante. Le strade da percorrere sono due e sono entrambe fondamentali per portare il settore all’eccellenza, perché dobbiamo provare anche a cambiare ambizione, non pensare solo a salvare o a migliorare leggermente le cose, ma puntare in alto per creare un sistema d’avanguardia.
Gli operatori possono sfruttare questo periodo di semi-inattività per creare le basi di una rappresentanza meno frammentata, un regolamento etico (vedi vicenda rimborso biglietti con i voucher) e smaltire le tossine della bolla di un’economia dopata dalla liquidità delle multinazionali del ticketing per l’acquisizione di quote. Altra strada, parallela ma altrettanto fondamentale, la deve percorrere la politica con una riforma complessiva che possa stimolare la base del settore e dare nuovo impulso alla vitalità degli operatori. Adesso abbiamo l’occasione per proporre una riforma, auspicabilmente condivisa e trasversale, che miri al benessere comune, allo sviluppo, alla cultura diffusa.
Perché è importante il sistema spettacolo?
Partiamo dal presupposto che ogni settore contribuisce al sistema Paese in termini di economie e posti di lavoro e probabilmente lo spettacolo è sottovalutato rispetto ai suoi numeri, ma il punto importante è la sua rilevanza sociale. L’arte, la cultura e l’intrattenimento hanno una ricaduta sulla società fondamentale per il benessere, la crescita e la formazione delle persone.
Non è possibile parlare di cultura non pensando al suo inestimabile valore e a quanto questo incida per la qualità della vita nella comunità e nella sua evoluzione di pensiero. Lo spettacolo ha anche un ruolo di leadership e di traino per turismo, moda, trasporto e commercio, tutti settori che godono di indotto economico dovuto agli eventi. Riprova ne sono le città deserte di questo periodo che senza eventi nelle piazze, nei cinema e nei teatri non riescono a risultare attrattive. Nell’estate 2019 i risultati di una ricerca condotta da RSM-Makno su commissione di “Impresa Cultura Italia-Confcommercio” ha evidenziato come ogni euro investito in cultura genera effetti economici (di ricaduta) per oltre 2,5 euro. Per la precisione: 2,65 euro. È su argomenti come questo che bisogna far leva perché l’evoluzione del settore deve procedere di pari passo anche con una comunicazione maggiormente incisiva.
Cosa può fare una riforma?
La filosofia di una riforma efficace deve partire dal termine “liberalizzazione” cercando con coraggio di tradurlo come opportunità e crescita, non come assenza di regole o regia pubblica. Bisogna creare tutte le condizioni perché si possa tornare a produrre attività culturali e di spettacolo avendo margini economici e semplicità di esecuzione. Si deve partire dalla creazione di codici ATECO per attività imprenditoriali con finalità culturali che possano permettere un riconoscimento a livello legislativo ed evitare i pasticci nei provvedimenti di accorpamento dei locali e festival allo sport e delle discoteche a night club. Ancora oggi i Live Club non sono riconosciuti a livello giuridico come cinema e teatri.
La riforma non può che non tenere presente l’anacronismo del monopolio SIAE per l’intermediazione del diritto d’autore, che presenta delle situazioni di gestione obsolete ed appesantite da decenni di trasformazioni a cui non ci si è normativamente adeguati che rendono urgente una nuova legge sui diritti connessi. Per essere chiari: il problema non è la SIAE, ma il monopolio che inchioda il mercato.
Dal punto di vista fiscale risulterebbe importante uniformare l’aliquota IVA sui biglietti degli spettacoli e sui prodotti culturali, infatti non si comprende perché l’editoria abbia il 4%, la discografia il 22%, i concerti 10% mentre i dj set il 22%. È giunto il tempo di abolire, o perlomeno ridurre significativamente, l’ISI (imposta sugli spettacoli), cosa che potrebbe ridare respiro economico agli operatori culturali ed rendere più attrattivo investire economie preziose attraverso sponsorizzazioni private. Uniformare le capienze di pubblico spettacolo permetterebbe agli organizzatori di lavorare con regole chiare e con possibilità di redigere business plan previsionali solidi sulle possibili affluenze. Il reinserimento dei voucher lavorativi per tutte quelle mansioni a carattere temporaneo per diretta espressione dell’esecuzione dello spettacolo come ad esempio maschere di sala e cassiere di biglietteria che eliminerebbe costi superflui e garantirebbe una maggiore liquidità sia per i datori che per i lavoratori.
Infine un ultimo tema delicato che però ha rilevanza sociale e di uniformità è l’abolizione del limite orario delle ore 3 per la somministrazione di bevande alcoliche. Dovremmo provare a puntare molto di più sull’educazione e che questa abbia un ruolo fondamentale, coinvolgendo scuole di diverso grado ma anche gli operatori culturali stessi. Risulta fondamentale affiancare piuttosto maggiori controlli stradali da parte delle istituzioni come avviene nel resto dei paesi d’Europa. Questa è una legge che ha creato due tipologie di locali: quelli che rispettano e quelli che non rispettano questo limite orario con un enorme danno al settore senza che questa abbia avuto poi una vera ricaduta positiva sulla questione degli incidenti stradali e sull’abuso degli alcolici. Basta pensare alle discoteche dove questa norma, se rispettata, non prevede la sopravvivenza delle stesse. Quindi cosa succede? Una parte dei locali lavora fuori legge e questo non è una buona cosa per nessuno.
Quali tempi e modi?
Una riforma auspicata e necessaria da oltre 50 anni non si realizza nell’urgenza e in poche settimane: cambiare radicalmente le norme di un settore ha bisogno di tempo, di studio e competenza. E’ il tempo per metterci mano con menti fresche, senza perdere altro tempo perché la riforma che vogliamo è una riforma per il paese (sì, la produzione culturale e aggregativa è centrale nel nostro paese), non è una bandiera da sventolare. I tempi sono maturi per smettere di perdere tempo.