Testo di Davide Volontè, director/manager al Rocket Club Milano.
L’estate del nostro scontento.
(Agosto a Milano)
“Cerca di stare bene” mi dice mia madre al telefono.
Sto camminando per Milano senza una meta precisa.
È fine Agosto e sfioriamo i 34 gradi. Le dico certo tutto ok mamma non preoccuparti. E in realtà, sulla carta, è tutto ok davvero.
Sono in forze, qualche soldo ce l’ho, non sono ancora impazzito totalmente e vivo nella parte fortunata del mondo.
Sono un privilegiato, non mi manca nulla.
Ma c’è un tarlo. È così profondo che a volte quasi non si sente. Ma è lì che lavora e scava. Un rumore di fondo che da due anni mi accompagna.
È la seconda estate di pandemia e sento che qualcosa comincia a scricchiolare.
Un anno fa era diverso, la vivevo come un’eccezione, una condizione temporanea. Pensavo al 2021 come ad un futuro luminoso, programmavo viaggi più audaci e lontani. Nuovi progetti di lavoro e vita da Settembre. Un nuovo rinascimento, venti di cambiamento, la ripartenza. Mi immaginavo un mondo libero dal virus e questo mi aiutava a farmi scivolare le restrizioni. Ci davamo grandi pacche sulle spalle vero? Quasi morbosamente sollevati dal non dover pensare ad un presente che era comunque distorto, irregolare e quindi indecifrabile. Tanto ci siamo quasi dicevamo, luce in fondo al tunnel.
Invece, spoilerone, siamo ancora qui.
Sono passati vaccini, articoli, governi e cospirazioni. Cortei, canzoni, varianti e grafici. Partite, lievito, zone rosse e notti in bianco. Il 2021 è diventato un franchising del 2020, leggermente più consapevole ma comunque stanco e tarpato. E dire che da fuori sembra tutto normale. La copertina è la stessa. La Milano agostana è una copia carbone di tante estati della mia vita.
Nei bar si parla di vaccini o Salmo, di Afghanistan o dei rave. Di novax, sìvax, bohvax. Di Olimpiadi e calcio. Ma nei discorsi ha tutto lo stesso valore, una sfumatura quasi leggera. Come se non si volesse entrare nel profondo. Per paura, pigrizia, ignoranza o semplicemente perché i demoni personali sono già tanti, non permettono alcuna nuova preoccupazione.
Gli anziani, lontani dai giudizi delle famiglie vacanziere, si giocano le pensioni al gratta e vinci. Grattano forte con le monetine sui tavoli di metallo, la mascherina sul collo. Vincono due spicci, ricominciano.
I turisti si fanno aria coi volantini, girano con le facce rubiconde arrossate dal sole. Fanno foto ad una Darsena che sembra quasi pulita, si fanno incastrare dai buttadentro dei Navigli, spendono troppo, macinano chilometri.
I negozi chiusi, venticinque minuti di attesa per il 9, il ronzio dei condizionatori dai balconi, l’odore di spezie dalle porte aperte dei kebabbari, i senzatetto a farsi ombra sotto gli alberi, i driver che passano col rosso.
Le bici e i monopattini dello sharing disseminati sull’asfalto come fiori coraggiosi. I cani che sbanfano sulla metro. I lavori in corso. I dehors che squattano mezzo marciapiede. I trolley che fanno casino sul pavé. Un tappeto di mascherine azzurre ci fa da selciato.
Va in fiamme un palazzo, ci ammassiamo a far foto e video. Svetta come una torcia olimpica a Milano Sud. Rende tutto ancora più surreale. Poi si spegne, per fortuna senza danni a persone. Dimentichiamo anche quello.
Nei parchi c’è chi gioca, dorme, corre. C’è chi pensa che sarà la volta buona per finire Infinite Jest. Ci sono i dog sitter con squad interi di cani al seguito. I sudamericani fanno feste. Partite a basket, baci, afa. L’amaro far niente.
I tormentoni estivi sembrano un po’ meno aggressivi. Ascoltiamo altro, magari un podcast che ci spiega la situazione in Medio Oriente. Poi esce il disco di Kanye West e il podcast lo abbandoniamo lì. Donda è bello, è troppo lungo, è troppo corto, è un game-changer, è una merda. Ma poi chissenefrega anche di quello.
Sono passati vaccini, articoli, governi e cospirazioni. Cortei, canzoni, varianti e grafici. Partite, lievito, zone rosse e notti in bianco. Il 2021 è diventato un franchising del 2020, leggermente più consapevole ma comunque stanco e tarpato. E dire che da fuori sembra tutto normale. La copertina è la stessa. La Milano agostana è una copia carbone di tante estati della mia vita.
Nei bar si parla di vaccini o Salmo, di Afghanistan o dei rave. Di novax, sìvax, bohvax. Di Olimpiadi e calcio. Ma nei discorsi ha tutto lo stesso valore, una sfumatura quasi leggera. Come se non si volesse entrare nel profondo. Per paura, pigrizia, ignoranza o semplicemente perché i demoni personali sono già tanti, non permettono alcuna nuova preoccupazione.
Gli anziani, lontani dai giudizi delle famiglie vacanziere, si giocano le pensioni al gratta e vinci. Grattano forte con le monetine sui tavoli di metallo, la mascherina sul collo. Vincono due spicci, ricominciano.
I turisti si fanno aria coi volantini, girano con le facce rubiconde arrossate dal sole. Fanno foto ad una Darsena che sembra quasi pulita, si fanno incastrare dai buttadentro dei Navigli, spendono troppo, macinano chilometri.
I negozi chiusi, venticinque minuti di attesa per il 9, il ronzio dei condizionatori dai balconi, l’odore di spezie dalle porte aperte dei kebabbari, i senzatetto a farsi ombra sotto gli alberi, i driver che passano col rosso.
Le bici e i monopattini dello sharing disseminati sull’asfalto come fiori coraggiosi. I cani che sbanfano sulla metro. I lavori in corso. I dehors che squattano mezzo marciapiede. I trolley che fanno casino sul pavé. Un tappeto di mascherine azzurre ci fa da selciato.
Va in fiamme un palazzo, ci ammassiamo a far foto e video. Svetta come una torcia olimpica a Milano Sud. Rende tutto ancora più surreale. Poi si spegne, per fortuna senza danni a persone. Dimentichiamo anche quello.
Nei parchi c’è chi gioca, dorme, corre. C’è chi pensa che sarà la volta buona per finire Infinite Jest. Ci sono i dog sitter con squad interi di cani al seguito. I sudamericani fanno feste. Partite a basket, baci, afa. L’amaro far niente.
I tormentoni estivi sembrano un po’ meno aggressivi. Ascoltiamo altro, magari un podcast che ci spiega la situazione in Medio Oriente. Poi esce il disco di Kanye West e il podcast lo abbandoniamo lì. Donda è bello, è troppo lungo, è troppo corto, è un game-changer, è una merda. Ma poi chissenefrega anche di quello.
Cerchiamo il fresco nei centri commerciali semivuoti. Invidiamo le foto di Instagram dei nostri amici in ferie ma il cuore lo mettiamo comunque. La sera ci troviamo in Sarpi o Porta Venezia a ridere un po’, a bere un po’. Si trova parcheggio facile, non danno multe, ci sentiamo sopravvissuti.
Milano è bellissima e decadente e il cielo sembra quello dei film di Gus Van Sant. Dice tra qualche giorno pioverà e si abbasseranno le temperature. Riapriranno tutte le aziende. La città tornerà a brulicare. Noi cammineremo sbilenchi dentro un altro autunno incerto.
Staremo male? No, la maggior parte di noi è fortunata. Abbiamo lavori, amici e famiglie. Davanti agli occhi un mondo Matrix assomigliante a come eravamo due anni fa.
Saremo diversi? Eh, sì.
Sembra infatti di vivere con gli occhi incrociati.
Perché è tutto simile a prima del Covid, ma è un po’ sbavato, blurrato. Ecco quello ci ha tolto questa pandemia : i contorni. Le linee guida che definivano le cose. Il tratto di matita più visibile si è cancellato. Ha appiattito tutto, dentro e fuori.
Così mentre cammino e rassicuro mio madre, me la sento tutta dentro questa estate strana. L’apparenza è lì, sotto i miei occhi, mi rassicura con il suo lento scorrere. Conforme e regolare, coi suoi clichè estivi. Ma manca qualcosa, manca una scintilla. La comunione pandemica si è indebolita, siamo un po’ più soli adesso. La quotidianità si ripete confortante ma è il clone sbagliato di quella reale.
“Cerca di stare bene” è il consiglio migliore che mi posso dare.
Nella sua banalità e vaghezza racchiude un po’ tutto quello che serve adesso. Il controllo sulle nostre vite è minore, la stretta meno sicura, il libero arbitrio zoppica. Ma questo possiamo ancora provare a farlo.
L’estate del nostro scontento sta finendo. La scintilla tornerà.
Speriamo non lo scrivo più.
Non son più tempi di sperare nel futuro ma di riprenderselo.
Intanto cerchiamo di stare bene, chiediamoci se stiamo bene.
Postilla 1:
“L’estate del nostro scontento” è una mia storpiatura di un monologo di Shakespeare (Riccardo III) e di un libro bellissimo di Steinbeck – L’inverno del nostro scontento. A me tutte le colpe per questa libertà di parafrasi.
Postilla 2:
E questo è Shakespeare proprio nel Riccardo III.
“ora l’inverno del nostro scontento, è reso estate gloriosa da questo sole di York, e tutte le nuvole che incombevano minacciose
sulla nostra casa sono sepolte nel petto profondo
dell’oceano“